Tra i numerosi interventi posti in essere recentemente dal legislatore in materia giuslavoristica, si segnala l’art. 5, commi 4 e 5, Legge 221/2015 (recante “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”), che ha, di fatto, sancito che, a prescindere dal tratto stradale in cui l’evento si verifica, l’infortunio in itinere occorso a bordo della bicicletta deve essere, al ricorrere di tutti i presupposti stabiliti dalla legge e per la generalità degli infortuni in itinere, sempre ammesso all’indennizzo.
Nello specifico la L. 221/2015 ha modificato il T.U. INAIL (D.P.R. 1124/1965), prevedendo l’inserimento, agli articoli 2 e 210 del T.U., del seguente periodo: “L’uso del velocipede, come definito ai sensi dell’art. 50 D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 [ossia del c.d. Codice della Strada] e successive modificazioni deve intendersi sempre necessitato”.
Quando si parla di infortunio in itinere?
Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro, si parla di infortunio in itinere (disciplinato dall’art. 2, comma 3, D.P.R. 1124/1965) per descrivere gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante:
- il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro;
- durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro;
- durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti (se non è presente un servizio di mensa aziendale).
Qual è il “normale” percorso che il lavoratore deve scegliere per essere risarcito?
Il “normale percorso” casa-lavoro (e viceversa) è considerato quello “più breve e diretto”. Conseguentemente gli incidenti verificatisi nel corso di deviazioni o in differenti tragitti non vengono risarciti. Eccezionalmente è ammesso all’indennizzo anche il sinistro avvenuto durante il percorso più lungo, ma solo se giustificato da particolari condizioni di viabilità (si pensi al traffico, ai lavori in corso in una strada, ecc.).
Con quali mezzi di trasporto?
Ai fini della tutela assicurativa, quando uno dei tragitti appena elencati può essere compiuto:
- a piedi;
- con mezzi pubblici.
L’eventuale scelta del mezzo privato deve risultare necessitata.
Quando è consentita la deviazione dal normale percorso?
Non è dovuto alcun indennizzo se l’interruzione o la deviazione è del tutto indipendente dal lavoro o, comunque non necessaria. L’infortunio è tutelato in caso di interruzioni o deviazioni effettuate:
- in attuazione di un ordine impartito dal datore di lavoro;
- per “necessità”, ipotesi che ricorre nei casi di forza maggiore, esigenze essenziali ed improrogabili, relativamente all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti e in caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato.
Quando si parla di scelta necessitata?
L’uso del mezzo privato è ritenuto necessitato quando:
- non esistono mezzi pubblici di trasporto dall’abitazione del lavoratore al luogo di lavoro (o non coprono l’intero percorso),
- quando non c’è coincidenza fra l’orario dei mezzi pubblici e quello di lavoro;
- quando l’attesa e l’uso del mezzo pubblico prolungherebbero eccessivamente l’assenza del lavoratore dalla propria famiglia.
La valutazione in ordine alla necessità dell’uso del mezzo privato di trasporto va condotta con “criteri di ragionevolezza” e in ogni caso la necessità del mezzo privato va accertata caso per caso. Fuori dalle ipotesi di necessità dell’utilizzo del mezzo privato si ricade nell’ambito del c.d. rischio elettivo, non assicurativamente protetto.
Cosa cambia per chi si muove in bicicletta?
L’INAIL ha commentato la modifica effettuata dalla Legge 221/2015 con propria Circolare n. 14 del 25 marzo 2016, a mezzo della quale lo stesso istituto ha dato atto che, in precedenza, in tema di infortunio in itinere in bicicletta “la valutazione sul carattere “necessitato” dell’uso di tale mezzo di locomozione, per assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto e per la non percorribilità a piedi del tragitto, considerata la distanza tra l’abitazione ed il luogo di lavoro, costituisse discrimine ai fini dell’indennizzabilità soltanto quando l’evento lesivo si fosse verificato nel percorrere una strada aperta al traffico di veicoli a motore e non invece quando tale evento si fosse verificato su pista ciclabile o zona interdetta al traffico”. In siostanza l’Istituto riteneva che l’infortunio occorso su strada aperta al traffico di veicoli a motore dovesse essere indennizzato solo “[…] in presenza delle condizioni necessarie per rendere necessitato l’uso della bicicletta, mentre “[…] dalla sussistenza di dette condizioni, si potesse prescindere qualora l’infortunio si fosse verificato in un tratto di percorso protetto”.
Il suddetto discrimine è stato superato dalla novella degli artt. 2 e 210 del D.P.R. 1124/1965, che sanciscono espressamente che – a prescindere dal tratto stradale in cui l’evento si verifica – l’infortunio in itinere occorso a bordo di una bicicletta deve essere, al ricorrere di tutti i presupposti stabiliti dalla legge per la generalità degli infortuni in itinere, sempre ammesso all’indennizzo.
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